Una ricerca condotta dal CNR (Consiglio Nazionale delle Ricerche) ha avuto come obiettivo l'applicazione della tecnologia della cavitazione alla cottura dell'aceto balsamico tradizionale.
Nella produzione dell'aceto balsamico tradizionale, la cottura del mosto d'uva con almeno 15° Brix (1° Brix corrisponde all'1-2% in peso di zucchero), avviene a pressione naturale, a fuoco diretto, in contenitori aperti per circa 12-24 ore a una temperatura minima di 30° C, fino a quando la massa totale non si riduce a circa 2/3.
Tutti gli additivi sono vietati.
Temperature di cottura troppo elevate potrebbero portare a cristallizzazioni indesiderate degli zuccheri con rallentamenti indesiderati della fermentazione alcolica e conseguente produzione di composti furanici; pertanto la tendenza più recente è quella di una cottura tra i 75 e i 90 °C, per non più di 14 ore, con una riduzione del mosto fino a 28-30 °Brix.
Il processo di cottura del succo d'uva per ottenere il mosto cotto ridotto e la successiva formazione delle specie organiche che lo caratterizzano rappresentano una fase estremamente delicata a causa delle numerose variabili in gioco, legate alle diverse trasformazioni chimiche e chimico-fisiche che avvengono all'interno delle matrici durante la fase di cottura.
In particolare, la diminuzione della percentuale di acqua durante la cottura può portare alla formazione di furfurali: composti che non solo connotano negativamente il prodotto finale, ma che sono addirittura dannosi per la salute del consumatore in quanto potenzialmente cancerogeni.
Una corretta cottura del mosto rappresenta quindi l'unico modo per ottenere un buon aceto balsamico tradizionale.
Di conseguenza, la cottura assistita dalla cavitazione potrebbe dare ottimi risultati perché il riscaldamento del liquido è omogeneo, in quanto la massa liquida non viene riscaldata da fonti di calore come fiamma o resistenza elettrica, ma è la stessa massa di liquido che si riscalda da sola, evitando formazioni di caramellizzazione localizzate.