La pollina è composta dagli scarti dell’allevamento del pollame, quindi dalle deiezioni del pollame, dalle loro lettiere, da piume ma anche da scarti di mangime, da carcasse di uccelli morti, e da uova rotte.

A causa dell’alto valore nutrizionale di tale composto, la pollina è usata tradizionalmente in agricoltura come fertilizzante organico in quanto permette di reimmettere nei campi importanti nutrienti: sono presenti nella pollina, in media, il 3% di azoto, il 2% di anidride fosforica e l’1,5% di potassio.

Sfortunatamente però l’eccesso di utilizzo può essere estremamente pericoloso per la salute umana in quanto in essa può essere contenuta una percentuale altissima di azoto in forma organica (60-80%) che, una volta sparso come fertilizzante, si trasforma in ammoniaca e sali ammoniacali per la quasi totalità. 

L’ammoniaca si disperde in atmosfera contribuendo però alla formazione delle polveri sottili, mentre i sali ammoniacali si trasformano in nitrati, altamente solubili in acqua, e quindi in grado di contaminare i corsi d’acqua superficiali e nel peggiore dei casi di contaminare le acque di falda.

Un suo eccessivo utilizzo può avere effetti fitotossici, in quanto può causare eccessiva salinità del terreno.

Pertanto, è palese ed evidente che l’attuale livello demografico e la moderna tipologia di allevamento avicolo intensivo contribuiscono non poco a produrre molta più pollina di quanta i terreni agricoli possano accoglierne.

Questo surplus va trattato preferibilmente “fresco di produzione” per evitare ulteriori criticità legate a grandi stoccaggi quali: proliferazione di insetti, odori sgradevoli, diffusione di germi patogeni, ecc.

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